David Golder by Irène Némirovsky

David Golder by Irène Némirovsky

autore:Irène Némirovsky [Némirovsky, Irène]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2020-01-13T16:00:00+00:00


XVIII

«Domani parto» disse Golder con voce brusca alzandosi da tavola.

Gloria trasalì leggermente e mormorò:

«Ah!... Starai via molto?...».

«Sì».

«Sei... sicuro che sia prudente, David?... Sei ancora malato».

Golder scoppiò a ridere.

«Che importanza ha? Non ho mica il diritto di essere malato come tutti, io... Non è così?».

«Ah, questo tono vittimistico...» sibilò Gloria tra i denti.

Golder uscì sbattendo forte la porta alle sue spalle. Dai candelabri sopra il camino, i cui pendagli di cristallo erano stati smossi dalla corrente d’aria, si levò nel silenzio un tintinnio rapido, argentino.

«È nervoso» disse piano Hoyos.

«Sì. Esce questa sera? Vuole l’auto?».

«No, grazie, cara».

Gloria si girò verso il domestico.

«Questa sera non ho bisogno dell’autista».

«Bene, signora» annuì quello, dopodiché posò sul tavolo il vassoio d’argento con i liquori e i sigari, e uscì.

Gloria, con gesti nervosi, fece per scacciare le zanzare che ronzavano sommessamente intorno alle lampade.

«Oh! Che seccatura!... Vuoi una tazza di caffè?».

«E Joy? Hai notizie?».

«No».

Gloria tacque un istante, poi riprese con una sorta di rabbia:

«È tutta colpa di David!... La vizia, quella ragazza, come un pazzo, come un cretino!... Non le vuole neanche bene!... Lei lusinga la sua rozza vanità di parvenu!... C’è di che andar fieri, davvero! Si comporta come una puttanella! Lo sai quanti soldi le ha dato la notte in cui si è sentito male, al circolo?... Cinquantamila franchi, bello mio. Carino, vero? Mi hanno descritto la scena: la piccola, in quella bisca, che camminava semiaddormentata, con mazzette di banconote tra le dita, come una ragazza di vita che abbia appena infinocchiato un vecchio!... E, a me, sempre le stesse scene, la stessa solfa: gli affari vanno male! Ne ha abbastanza di lavorare per mantenermi, eccetera... Ah, sono proprio disgraziata! Joyce, invece...».

«Oh! È deliziosa...».

«Lo so» tagliò corto Gloria.

Hoyos tacque di colpo, si alzò e andò alla finestra a prendere una boccata d’aria.

«Che profumo... Non vuoi scendere in giardino?».

«Se ti fa piacere».

Uscirono. Era una bella notte senza luna; i grandi riflettori bianchi della terrazza incipriavano la ghiaia del viale e i rami degli alberi di una fredda luce teatrale.

«Senti che profumo» ripeté Hoyos. «Tira vento dalla Spagna, e porta un buon odore di cannella, non trovi?».

«No» replicò Gloria asciutta.

Si fermò di botto davanti a una panchina.

«Sediamoci, non mi piace camminare al buio». Hoyos si sedette al suo fianco, accese una sigaretta: la fiamma dell’accendino gli illuminò il viso lievemente inclinato, le palpebre gonfie, fragili e sgualcite come fiori morti, il disegno puro delle labbra, ancora giovani, colme di vita.

«Che succede stasera? Siamo soli?».

«Aspetti qualcuno?» chiese lei distrattamente.

«No, nessuno in particolare... Ma il fatto mi stupisce... Questa casa è sempre affollata come una locanda nel giorno di mercato... Del resto non me ne lamento affatto... Siamo vecchi, mia cara, e abbiamo bisogno di folla e di chiasso intorno a noi. Un tempo non era così, ma tutto passa...».

«Un tempo...» gli fece eco lei. «Lo sai quanti anni sono, ormai? È spaventoso...».

«Quasi venti!».

«Era il 1901. Al carnevale di Nizza del 1901, amico mio. Venticinque anni».

«Sì,» mormorò Hoyos «una piccola straniera dall’aria sperduta, con la sua paglietta, il suo abitino semplice.



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